DOSSIER

 
 
 
Speciale 65ª mostra internazionale d'arte cinematografica
 
HOME DEL DOSSIER

La cronaca

Le recensioni
Le interviste
I film

Arrivano lo tsunami Béart, l'Avati psiconoir e il tenero Miyazaki

commenti - |  Condividi su: Facebook Twitter|vota su OKNOtizie|Stampa l'articoloInvia l'articolo|DiminuisciIngrandisci
1 settembre 2008
Emmanuelle Béart (Ap)

Venezia 65 non sfugge a regole e consuetudini e, con il primo fine settimana, arrivano anche i primi scossoni. Il concorso, dopo la delusione Ozpetek, propone un Avati che si divide tra uno psicodramma noir e ambiguità politiche con "Il papà di Giovanna" mentre il maestro Hayao Miyazaki commuove e diverte con "Ponyo on the Cliff by the sea", favola eco-animalista che vede un pesce rosso come protagonista. Infine "Vinyan" sconvolge, portando sullo schermo il dramma dello tsunami: Emanuelle Béart sofferente nel fisico e nell'anima, esplora Birmania e dintorni nell'illusione di trovare il figlio scomparso nella catastrofe. Risultato: un altro thriller, con tanto di finale splatter. Non c'è di che annoiarsi.

Il papà di Giovanna - Concorso
Il competitivo Pupi Avati, ad occhio e croce, non lascerà il Lido senza qualche premio. Questa è l'impressione dopo aver scorto le prime reazioni e valutando un concorso finora modesto, anche se i migliori, sulla carta, devono ancora venire. "Il papà di Giovanna" è un'opera cruciale, emotivamente e artisticamente, nella cinematografia avatiana, seppur sempre profondamente intrisa dello stile e degli stilemi del regista bolognese. Ha tutto per essere un titolo che può segnare una svolta: con sorprendente originalità va ad esplorare un rapporto sentimentale poco analizzato sul grande schermo, quello padre- figlia, e in più evidenziandone gli aspetti patologici, morbosi e psicolabili. Siamo negli anni '30 fascisti, ma potremmo essere a Novi Ligure o a Perugia. Anche se Erika e Amanda Knox son belle, e invece questa Giovanna (un sempre più brava Alba Rohrwacher) è bruttina e psicologicamente disturbata, con un padre (Silvio Orlando, impeccabile) troppo protettivo e poco obiettivo. Qualcosa di triste e patetico, forse, ma apparentemente normale, se non fosse che la tragedia, nelle forme di un omicidio passionale inspiegabile, è dietro l'angolo. "Ho voluto- ha raccontato il cineasta- indagare i meandri nascosti delle tragedie e dei delitti atroci, mi son sempre chiesto cosa succede a Garlasco o altrove quando si spengono le luci dei riflettori". Francesca Neri madre "snaturata", Serena Grandi vicina sensibile e schietta, Manuela Morabito madre bella e snob entrano nella galleria femminile e un po' misogina di Pupi, ma il proscenio è della coppia disperata formata da Silvio e Alba. Peccato che però il film si sgonfi, nonostante loro, dopo la prima parte, quando il cinema di genere, lo psiconoir, lascia spazio alla (mala)educazione sentimentale, all'autorialità convenzionale e ripetitiva del regista, nella regia e nella scrittura, alle nostalgie politiche. Ecco così il simpatico poliziotto fascista, per convenienza, Ezio Greggio (ottimo esordio nel dramma), centro di gravità permanente di eventi e personaggi, i due processi contrapposti, uno fascista e uno partigiano, uno buono (o per lo meno, improbabilmente equilibrato) e uno cattivo. Dopo il disastro Ozpetek, Avati si barcamena avvicinandosi di più, senza sfiorarla però, alla sufficienza, pur confermandosi perfetto direttore d'attori. Poteva essere un capolavoro, è solo un catalogo di pochi pregi e molti difetti della cinematografia avatiana.

Ponyo on the Cliff by the sea - Concorso
Uno che ha già vinto un Leone alla carriera, sembra difficile possa vincere un Leone d'oro in un'edizione successiva a quel riconoscimento. Ma Hayao Miyazaki è tanto prolifico e attivo- e a questo festival ce ne sono anche altri come lui, da Manoel de Oliveira a Monicelli - che può riuscirci. Così facendo, peraltro, rivoluzionerebbe il senso comune dei festival, visto che lui è il re dell'animazione. Fatto sta che il suo Ponyo (e il sodale Sosuke) ha conquistato tutti in Laguna, la canzoncina finale con karaoke sui titoli di coda è fischiettata con gioia da molti, critici affermati la canticchiano con soddisfazione. E hanno tutti ragione: con la semplicità di tratto che solo lui sa usare per l'animazione e per l'anima, ci racconta una favola semplice, un'eroica battaglia infantile contro convinzioni e convenzioni, la tenera lotta di due piccoli esseri lontani e simili. Ponyo è una pesciolina rossa magica: sa curare i malati e scatenare tsunami, con la stessa felicità, ma un bambino e la sua mamma lo porteranno a cambiare la sua vita. Non è certo uno dei capolavori del grande cineasta, ma uno di quei suoi adorabili film riusciti che forse non troveranno posto nei testi di storia del cinema, ma di sicuro nei cuori di molti. Con spensieratezza, gusto del gioco (Ponyo, antropomorfo, ha battute ed espressioni irresistibili), una ritrovata freschezza nei disegni e impegno civile, questa fiaba eco-animalista, piena di amore per il mare e per la vita non scade mai nella retorica o nell'enfasi, registica o emotiva.

Vinyan - Fuori Concorso
Fabrice du Welz, classe 1972, ha tutta una carriera davanti per stupirci. Per ora ci riesce poco e male con "Vinyan", viaggio solo andata verso l'incubo peggiore. Perdere un figlio, come succede nello tsunami a due genitori belli e felici (Emanuelle Béart e Rufus Sewell), lo è. Credere di rivederlo in una ripresa di un documentario benefico di un'amica (la bellissima e ambigua Julie Dreyfus) sulle disastrate spiagge birmane, è molto peggio. Senza un corpicino su cui piangere, la speranza è una lama che dilania inesorabilmente tutto e tutti. Vinyan è l'atroce ritorno di una coppia dove lo tsunami strappò loro il piccolo figlio, per riportarlo a casa. Un tentativo folle e disperato, proprio come loro. Che il regista francese sia bravo, si vede subito: da come accarezza il corpo della Béart, da come ci getta nelle scene più drammatiche, con piglio deciso e senza avvisaglie. Evita scorciatoie, ma si fa ubriacare dal suo stesso film. L'odissea nello strazio, così, diventa sempre più eccessiva, il loro pellegrinare inanella avventure e sfortune inaudite che portano l'opera fuori strada, la voglia di stupire- belle, ma stucchevoli le scene continuamente bagnate, non solo dalla pioggia torrenziale- non si ferma nemmeno citando, con sfacciata incoscienza, un certo cinema anni '70 e persino l'"Apocalypse now" di Coppola. Il finale, in cui i bambini si moltiplicano in una presenza massiccia e inquietante, ha una svolta delirante e solo un'ottima Béart riesce a rendere il personaggio non risibile. L'ennesimo film veneziano che si getta in una foresta, che ha buoni spunti ma annegati in un mare di buone intenzioni.

RISULTATI
0
0 VOTI
Stampa l'articoloInvia l'articolo | DiminuisciIngrandisci Condividi su: Facebook FacebookTwitter Twitter|Vota su OkNotizie OKNOtizie|Altri YahooLinkedInWikio

L'informazione del Sole 24 Ore sul tuo cellulare
Abbonati a
Inserisci qui il tuo numero
   
L'informazione del Sole 24 Ore nella tua e-mail
Inscriviti alla NEWSLETTER
Effettua il login o avvia la registrazione.
 
 
 
 
 
 
Cerca quotazione - Tempo Reale  
- Listino personale
- Portfolio
- Euribor
 
 
 
Oggi + Inviati + Visti + Votati
 

-Annunci-